I costumi tradizionali
Il costume di Issime, di Gaby e di Gressoney spiegati attraverso un estratto dalla mostra "I colori nella tradizione" realizzata nell'ambito del progetto di Ecomuseo Walser nell'estate 2008.
Il costume di Gaby
L’ascendenza del costume di Gaby trova delle analogie con quelli della vicina Savoia, terra d’emigrazione dei muratori locali. Nel secolo XIX, il costume femminile di Gaby fungeva da abito da sposa, destinato a scomparire alla morte di colei che lo aveva indossato...
L’ascendenza del costume di Gaby trova delle analogie con quelli della vicina Savoia, terra d’emigrazione dei muratori locali.
Nel secolo XIX, il costume femminile di Gaby fungeva da abito da sposa, destinato a scomparire alla morte di colei che lo aveva indossato. Sappiamo da fonte sicura che molte donne confezionavano personalmente il proprio costume che era interamente cucito a mano. Ogni costume, pur uniformandosi ad uno stereotipo, possedeva delle varianti, ispirate al gusto e alle condizioni socio - economiche di colei che lo indossava. Si trattava di un abito legato alle circostanze, liete (matrimoni, battesimi) e tristi (funerali) , tanto da rappresentare oggi una testimonianza degli usi del paese.
Per distinguersi socialmente, ogni donna comprava da venditori ambulanti degli articoli di merceria: nastrini, passamanerie, guarnizioni, scampoli di seta, scialli, destinati ad aggiungere degli elementi di valore all’insieme del costume.
Il vestito, di panno nero (drap), è composto da una gonna (cotta) e da un corpino (coursèt), a maniche lunghe, cuciti insieme.
La gonna è aperta sul davanti circa 30 cm. e, stretta in vita, si allunga fino alle caviglie.
Sul dorso è molto arricciata, mentre davanti cade dritta.
In basso la gonna ha tre baste ornate da un nastro di velluto nero (galon nihr) alto circa 7 cm.
In passato, per risparmiare un po’ di panno, molte donne utilizzavano un tessuto in cotone fantasia nella parte che restava nascosta dal grembiule. Le maniche sono molto larghe nella parte superiore e ornate esternamente da filze a nido d‘ape
Il grembiule (foudèr), in seta broccata cangiante, è cucito a pieghe piatte e strette, tenute insieme da un nastro che funge da cintura ed era munito di pettorina (pettouròl) fissato al corpino con due spille.
Lo scialle (foular dè sià ), coordinato al grembiule, di forma quadrata con lughe frange, è portato a triangolo e ripiegato in modo da formare tre piccole pieghe dietro la nuca.
La scuffia
Elemento più originale del costume di Gaby è il copricapo, la “scuffia”, nome di origine franco-provenzale, che veniva indossato dalle donne in occasioni particolari come il matrimonio, il battesimo di un figlio .
Esso è formato da un’aureola di merletti con pieghettatura a cannoncino e da un fondo in tulle (moussouléina) bianco, ricamato, in cotone, incorniciato da una fantasiosa composizione di motivi floreali e di frutti, nonché da un nastro di seta cangiante, che ricade sul dorso per circa 30 cm. di lunghezza.
Nel secolo XIX, il costume femminile di Gaby fungeva da abito da sposa, destinato a scomparire alla morte di colei che lo aveva indossato. Sappiamo da fonte sicura che molte donne confezionavano personalmente il proprio costume che era interamente cucito a mano. Ogni costume, pur uniformandosi ad uno stereotipo, possedeva delle varianti, ispirate al gusto e alle condizioni socio - economiche di colei che lo indossava. Si trattava di un abito legato alle circostanze, liete (matrimoni, battesimi) e tristi (funerali) , tanto da rappresentare oggi una testimonianza degli usi del paese.
Per distinguersi socialmente, ogni donna comprava da venditori ambulanti degli articoli di merceria: nastrini, passamanerie, guarnizioni, scampoli di seta, scialli, destinati ad aggiungere degli elementi di valore all’insieme del costume.
Il vestito, di panno nero (drap), è composto da una gonna (cotta) e da un corpino (coursèt), a maniche lunghe, cuciti insieme.
La gonna è aperta sul davanti circa 30 cm. e, stretta in vita, si allunga fino alle caviglie.
Sul dorso è molto arricciata, mentre davanti cade dritta.
In basso la gonna ha tre baste ornate da un nastro di velluto nero (galon nihr) alto circa 7 cm.
In passato, per risparmiare un po’ di panno, molte donne utilizzavano un tessuto in cotone fantasia nella parte che restava nascosta dal grembiule. Le maniche sono molto larghe nella parte superiore e ornate esternamente da filze a nido d‘ape
Il grembiule (foudèr), in seta broccata cangiante, è cucito a pieghe piatte e strette, tenute insieme da un nastro che funge da cintura ed era munito di pettorina (pettouròl) fissato al corpino con due spille.
Lo scialle (foular dè sià ), coordinato al grembiule, di forma quadrata con lughe frange, è portato a triangolo e ripiegato in modo da formare tre piccole pieghe dietro la nuca.
La scuffia
Elemento più originale del costume di Gaby è il copricapo, la “scuffia”, nome di origine franco-provenzale, che veniva indossato dalle donne in occasioni particolari come il matrimonio, il battesimo di un figlio .
Esso è formato da un’aureola di merletti con pieghettatura a cannoncino e da un fondo in tulle (moussouléina) bianco, ricamato, in cotone, incorniciato da una fantasiosa composizione di motivi floreali e di frutti, nonché da un nastro di seta cangiante, che ricade sul dorso per circa 30 cm. di lunghezza.
Il costume di Gressoney
L’amore dei valdostani per gli abiti colorati e per il colore rosso è descritto dai numerosi viaggiatori ed eruditi stranieri che hanno percorso la Valle d’Aosta nella seconda metà dell’Ottocento. Il rosso ha da sempre un forte valore simbolico e i tessuti tinti...
L’amore dei valdostani per gli abiti colorati e per il colore rosso è descritto dai numerosi viaggiatori ed eruditi stranieri che hanno percorso la Valle d’Aosta nella seconda metà dell’Ottocento. Il rosso ha da sempre un forte valore simbolico e i tessuti tinti con questo colore sono molto richiesti sin dal medioevo in tutta la penisola italiana. In Valle d’Aosta gli abiti di questo colore, per le valenze magico–propiziatorio attribuitegli, erano indossati dagli uomini il giorno del matrimonio, nelle grandi occasione o nei giorni della festa. L’amore per il colore rosso e per la sua simbologia è molto forte a Gressoney dove l’abito femminile più comune (ròtò anketò), indossato nei giorni di festa e diventato simbolo della comunità, è confezionato generalmente in panno rosso. La fortuna di questo abito è legata anche alla vocazione turistica della zona e all’interesse che questa particolare foggia ha suscitato in chi ha soggiornato in questa comunità ai piedi del Monte Rosa.
Così la regina Margherita di Savoia, assidua frequentatrice di questa località, nel 1889, si fece confezionare dal sarto specializzato Franz Bonda di Gressoney Saint Jean il costume indossato dalle donne del paese, seguendo la scia di molti regnanti europei che prima di lei avevano manifestato interesse e curiosità per le differenti fogge della gente comune. L’intervento della regina ha nobilitato quest’abito rendendolo più elegante e ricco, così come testimonia il gressonaro Valentin Curta (1861-1929).
d'goldenò happo
Coprire il capo per le donne è stata per secoli un’esigenza costante, non solo per necessità pratiche ma anche per obblighi morali e religiosi. Così la cuffia è diventata un elemento essenziale dell’abbigliamento femminile, ma anche identificativo di una comunità come a Gressoney-Saint-Jean e a Gressoney- La-Trinité.
Le preziose cuffie (goldenò happò) di queste due comunità Walser si fanno ammirare ovunque per la ricchezza e la pregiata fattura dell’ornamento: le calotte in seta sono ricoperte da trine d’oro e d’argento realizzate ai fuselli, da composizioni floreali realizzate in canutiglia, da pietre colorate semipreziose.
Non meno pregiate sono quelle realizzate interamente in tessuto: esse sono confezionate in damasco di seta o broccato, ornate da ampi nastri ricamati a mano.
Così la regina Margherita di Savoia, assidua frequentatrice di questa località, nel 1889, si fece confezionare dal sarto specializzato Franz Bonda di Gressoney Saint Jean il costume indossato dalle donne del paese, seguendo la scia di molti regnanti europei che prima di lei avevano manifestato interesse e curiosità per le differenti fogge della gente comune. L’intervento della regina ha nobilitato quest’abito rendendolo più elegante e ricco, così come testimonia il gressonaro Valentin Curta (1861-1929).
d'goldenò happo
Coprire il capo per le donne è stata per secoli un’esigenza costante, non solo per necessità pratiche ma anche per obblighi morali e religiosi. Così la cuffia è diventata un elemento essenziale dell’abbigliamento femminile, ma anche identificativo di una comunità come a Gressoney-Saint-Jean e a Gressoney- La-Trinité.
Le preziose cuffie (goldenò happò) di queste due comunità Walser si fanno ammirare ovunque per la ricchezza e la pregiata fattura dell’ornamento: le calotte in seta sono ricoperte da trine d’oro e d’argento realizzate ai fuselli, da composizioni floreali realizzate in canutiglia, da pietre colorate semipreziose.
Non meno pregiate sono quelle realizzate interamente in tessuto: esse sono confezionate in damasco di seta o broccato, ornate da ampi nastri ricamati a mano.
Il costume di Issime
L’abito femminile di Issime è costituito da un vestito nero in panno o in tessuto di lana pettinata. Il corpino è chiuso nella parte anteriore da ganci nascosti, mentre nella parte centrale del dorso presenta una guarnizione di velluto nero verticale....
L’abito femminile di Issime è costituito da un vestito nero in panno o in tessuto di lana pettinata. Il corpino è chiuso nella parte anteriore da ganci nascosti, mentre nella parte centrale del dorso presenta una guarnizione di velluto nero verticale. Il girocollo è impreziosito da pizzi valenciennes o lavorati a mano. Le maniche, dalla spalla fino quasi al gomito presentano un’arricciatura a piccole pieghe, in file sovrastanti, fermata da una guarnizione di velluto da cui si apre la parte restante della manica molto ampia. Una o due guarnizioni di circa dodici centimetri di velluto nero ornano la parte finale della manica, stretta al polso, da cui fuoriescono pizzi neri e bianchi.
Dal corpino scende una lunga gonna la cui ampiezza è data da una ricca pieghettatura per quasi tutto il girovita; solo la parte anteriore è liscia con la possibilità di una tasca interna. La parte inferiore della gonna è ornata da nastri di velluto nero di circa dodici centimetri, applicati su tre balze della gonna stessa. Sul vestito è allacciato un grembiule in seta broccata, con o senza pettorina, riccamente arricciato, mentre le spalle sono coperte da uno scialle anch’esso in seta, con lunghe frange, quadrato e piegato in diagonale.
La seta è tessuta a motivi floreali e a colori cangianti molto vivaci, combinati a due a due che variano dal nero, al viola, al rosso, al blu, al verde e al marrone. Il grembiule e lo scialle hanno la stessa tonalità di colore. Sotto il vestito si indossa una camicia bianca in cotone o in tela di mercante e una sottogonna sempre in cotone bianco ornata sul fondo da pizzi.
Le calze sono di lana nera e le scarpe anch’esse nere sono in pelle di vitello basse o al polpaccio, tipo galoche.
Un manicotto in pelliccia ripara le mani dal freddo nella stagione invernale.
Una croce in oro di varie fogge, a volte con parti smaltate, pende al collo da un nastro in velluto nero liscio, o ricamato, o ornato con pizzi, chiuso con uno o più cuoricini in oro.
D’Katuarba
Così è chiamato, in töitschu, lingua Walser, il caratteristico copricapo che, un tempo, indossavano le donne per il loro matrimonio, in occasione di un battesimo e nei giorni di festa.
Esso è formato da una retina rigida a calotta, foderata di raso, in tinta o in contrasto con i colori dello scialle e del grembiule.
Su di essa è cucita una cuffia, tipo Charlotte, di tulle bianco ricamato o di pizzo bianco e una crestina a una o più file di pizzo valenciennes bianco, a piegoline molto fitte e regolari, inamidate o sostenute da un supporto metallico.
Dietro la crestina, una corona variopinta di fiori dei nostri prati, in seta, e di piccoli frutti dei nostri boschi. Sulla nuca, un mazzolino di fiori e frutti trattiene tre o quattro nastri doppi, in seta broccata, lunghi una ventina di centimetri, che scendono a ventaglio sulle spalle.
Dal corpino scende una lunga gonna la cui ampiezza è data da una ricca pieghettatura per quasi tutto il girovita; solo la parte anteriore è liscia con la possibilità di una tasca interna. La parte inferiore della gonna è ornata da nastri di velluto nero di circa dodici centimetri, applicati su tre balze della gonna stessa. Sul vestito è allacciato un grembiule in seta broccata, con o senza pettorina, riccamente arricciato, mentre le spalle sono coperte da uno scialle anch’esso in seta, con lunghe frange, quadrato e piegato in diagonale.
La seta è tessuta a motivi floreali e a colori cangianti molto vivaci, combinati a due a due che variano dal nero, al viola, al rosso, al blu, al verde e al marrone. Il grembiule e lo scialle hanno la stessa tonalità di colore. Sotto il vestito si indossa una camicia bianca in cotone o in tela di mercante e una sottogonna sempre in cotone bianco ornata sul fondo da pizzi.
Le calze sono di lana nera e le scarpe anch’esse nere sono in pelle di vitello basse o al polpaccio, tipo galoche.
Un manicotto in pelliccia ripara le mani dal freddo nella stagione invernale.
Una croce in oro di varie fogge, a volte con parti smaltate, pende al collo da un nastro in velluto nero liscio, o ricamato, o ornato con pizzi, chiuso con uno o più cuoricini in oro.
D’Katuarba
Così è chiamato, in töitschu, lingua Walser, il caratteristico copricapo che, un tempo, indossavano le donne per il loro matrimonio, in occasione di un battesimo e nei giorni di festa.
Esso è formato da una retina rigida a calotta, foderata di raso, in tinta o in contrasto con i colori dello scialle e del grembiule.
Su di essa è cucita una cuffia, tipo Charlotte, di tulle bianco ricamato o di pizzo bianco e una crestina a una o più file di pizzo valenciennes bianco, a piegoline molto fitte e regolari, inamidate o sostenute da un supporto metallico.
Dietro la crestina, una corona variopinta di fiori dei nostri prati, in seta, e di piccoli frutti dei nostri boschi. Sulla nuca, un mazzolino di fiori e frutti trattiene tre o quattro nastri doppi, in seta broccata, lunghi una ventina di centimetri, che scendono a ventaglio sulle spalle.